L’osteoporosi è una malattia sistemica che coinvolge tutte le ossa del nostro corpo ed è caratterizzata da ridotta massa ossea e alterazioni qualitative della macro e microarchitettura e, da un punto di vista pratico, si associa ad un aumentato rischio di frattura.
Le sedi più frequentemente interessate da frattura sono le vertebre e il femore, perché qui si scaricano le forze maggiori del nostro corpo. È noto che gli eventi fratturativi a livello delle vertebre e, ancor di più, a livello del femore diminuiscano la probabilità di sopravvivenza dell’individuo, oltre ad alterarne la qualità di vita. È pertanto importante prevenire l’osteoporosi a partire dal controllo di tutti quei fattori di rischio che favoriscono le cadute, come la riduzione della forza e della capacità visiva, le barriere architettoniche, l’illuminazione scadente, le superfici irregolari, le calzature scomode. Inoltre, l’abitudine al fumo e l’alto consumo di alcolici sono grandi nemici della salute delle ossa. Il sesso femminile è di per sé più predisposto alle fratture rispetto a quello maschile.
È importante identificare precocemente le numerose malattie che predispongono all’osteoporosi: patologie dell’apparato endocrino e di quello ematologico, i disordini gastroenterici che comportano una perdita di nutrienti attraverso il tratto gastrointestinale e molteplici malattie reumatiche. È importante anche individuare se un soggetto assuma farmaci che vanno ad alterare la struttura ossea, tra cui quelli assunti per la cura del tumore al seno. Infatti, la chemioterapia, i cortisonici e le terapie ormonali (i cosiddetti “blocchi ormonali”) aumentano considerevolmente il rischio di osteoporosi.
Nel contesto dei trattamenti per il tumore al seno, è stato dimostrato come ad un anno di distanza dall’inizio della terapia con gli inibitori dell’aromatasi o con il doppio blocco ormonale, si rilevi una perdita ossea rispettivamente del 2,6-7%, significativamente superiore rispetto a quanto riscontrato in donne con menopausa spontanea, sia tardiva che precoce. La maggior perdita di massa ossea avviene nel primo anno di terapia fino ad arrivare ad un 6% a 5 anni. Tanto maggiore è la riduzione degli estrogeni legata alla terapia, tanto maggiore è il rischio di fratture vertebrali. Per questo motivo nelle donne che assumono una terapia ormonale va considerata la salute dell’osso a prescindere, partendo da un’accurata anamnesi volta ad indagare la familiarità, lo stile di vita e l’alimentazione.
Le donne che assumono terapia endocrina sono meritevoli di trattamento protettivo per le ossa in quanto la terapia ormonale di per sé è correlata al rischio di frattura, indipendentemente dai valori di massa ossea: la densitometria è un dato utile ma non è di per sé decisionale.
Propedeutici al trattamento farmacologico protettivo per le ossa, sono un adeguato stato calcico/vitaminico D, l’esercizio fisico regolare e uno stile di vita corretto, che prevede l’abolizione del fumo e dell’alcol.
Gli alimenti che contengono il maggior quantitativo di calcio sono i latticini, i molluschi, i crostacei, i legumi secchi, la frutta secca, i carciofi e la cicoria; alcuni di questi da consumare con moderazione perché ricchi di grassi e colesterolo. A tal proposito è indicato il consumo di latte e latticini magri o parzialmente scremati, formaggio grana e bevande vegetali arricchite di calcio. Gli alimenti che contengono un buon quantitativo di vitamina D sono l’aringa e la spigola; in commercio sono disponibili numerosi integratori a base di vitamina D.
Affinché il calcio sia assorbito a livello intestinale e renale attraverso la vitamina D e venga poi depositato nelle ossa, è necessario che nel nostro organismo ci sia un adeguato quantitativo di vitamina K 2, che si trova in ben pochi alimenti, di scarso consumo nella nostra cucina, come ad esempio i semi di soia fermentati, tipico piatto giapponese. Un recente studio ha evidenziato come nelle zone a maggior consumo di questo alimento sia inferiore il rischio di frattura. La vitamina K2 è contenuta in alcuni formaggi come il pecorino stagionato e lo Stilton, tipico formaggio inglese. Va ricordato che in commercio esistono anche degli integratori specifici.
Dal punto di vista farmacologico, la nota 79, emanata dall’AIFA, prevede la somministrazione di farmaci antirassorbitori ossei a carico del Sistema Sanitario Nazionale nei soggetti in blocco ormonale per carcinoma mammario o prostatico. Nello specifico la Nota 79 prevede che Alendronato, Risedronato, Zoledronato (bisfosfonati) e Denosumab (farmaco monoclonale) possano essere somministrati come farmaci di prima scelta. Tali farmaci, con modalità differenti, agiscono attraverso l’inibizione degli osteoclasti, le cellule “spazzine” dell’osso, deputate a rimuovere i detriti e la massa invecchiata.
I bisfosfonati possono essere somministrati per via orale, a cadenza settimanale o mensile; l’effetto indesiderato più comune di questi farmaci si manifesta a livello gastroenterico, in quanto possono provocare bruciore ed esofagite da reflusso. Vi è poi la possibilità di trattamento con acido zoledronico, bisfosfonato che si somministra per via iniettiva endovenosa, da proporre ai soggetti con funzionalità renale conservata, da verificare ad ogni somministrazione, soprattutto nei soggetti anziani. L’acido zoledronico è controindicato nei soggetti con ridotta filtrazione renale, nelle donne in età fertile, durante la gravidanza e l’allattamento. Gli effetti collaterali più frequenti sono dolori muscolari, sintomatologia influenzale, dolori articolari e cefalea e possibile comparsa di febbre. La frequenza di tali effetti tende a diminuire nelle somministrazioni successive alla prima e L’assunzione della tachipirina prima del trattamento con acido zoledronico può ridurre la frequenza degli effetti collaterali.
La terapia con Denosumab prevede una somministrazione per via sottocutanea a cadenza semestrale; la terapia è generalmente ben tollerata, ma può comparire indolenzimento nella sede di iniezione del farmaco.
Effetto collaterale comune a tutte le terapie antiriassorbitive con bisfosfonati/Denosumab è l’osteonecrosi della mandibola. Ad oggi non abbiamo dati epidemiologici relativi all’incidenza di questo effetto collaterale nel contesto dei pazienti oncologici in trattamento con antiriassorbitori ossei per osteoporosi: nei pazienti non oncologici l’incidenza è inferiore all’1%, mentre nei soggetti oncologici, che assumono gli antiriassorbitori ossei per metastasi ossee e quindi a dosaggi molto elevati, si può arrivare fino al 10%. I fattori di rischio dell’Osteonecrosi sono molteplici; sono opportune una adeguata igiene orale personale e una periodica valutazione odontoiatrica.