
Non è facile, ma bisogna farlo. E soprattutto, bisogna saperlo fare. Per avviare una seria politica di prevenzione è necessario cominciare dai ragazzi. Volontà di Vivere lo fa da anni con il Progetto Martina, nel nome della ragazza deceduta per un tumore alla mammella non diagnosticato in tempo, che prima di morire ha lanciato ai suoi coetanei un messaggio per la prevenzione. Ma a questo tema l’associazione ha voluto anche dedicare il convegno
“La prevenzione. Un Atto che genera valore”. L’importanza del prendersi cura in età giovanile per costruire la salute collettiva”, svoltosi lo scorso settembre al Centro Culturale San Gaetano.
L’incontro è stato introdotto dalla presidente Anna Donegà: “Questo evento è stato pensato da tempo, nell’anno in cui festeggiamo i 40 anni della nostra associazione. Una ricorrenza che vogliamo celebrare guardando più al futuro che al passato. E il futuro per noi è dato dalla prevenzione”.
Dopo i saluti istituzionali – Anna Barzon, presidente della VI commissione consiliare del Comune, Luca Lideo per il Centro Servizi Volontariato, Fabio Verlato per l’Ulss6 e Leo Ercolin, portavoce dell’Esecutivo delle associazioni di area sanitaria e sociale – la presidente Donegà ha ricordato che l’evento era inserito nel cartellone di Solidaria, il festival padovano che promuove la cultura della solidarietà.
Ad entrare nel merito della prevenzione sono stati Manuel Zorzi, del Registro Tumori del Veneto e Marta Mion, oncologa dell’UOA di Camposampiero, moderati da Beatrice Benelli, docente di Psicologia all’Università di Padova.
Zorzi ha fornito alcuni dati sulla diffusione dei tumori a livello regionale, “in linea – ha sottolineato – con le medie nazionali. Nel 2014/2015 sono stati diagnosticati 30mila nuovi casi di tumore, 6mila dei quali a Padova”. Il più diffuso nei maschi è il tumore alla prostata, mentre nelle donne quello alla mammella, che rappresenta circa un terzo del totale. In Veneto, a partire dal 2000, l’incidenza nei maschi tende a scendere, si pensa anche grazie alla riduzione del fumo, mentre nelle donne continua ad attestarsi sugli stessi parametri. Aumenta sensibilmente la sopravvivenza dopo i 5 anni, che arriva ad una media del 70% dei casi per le donne.
“Si tratta – ha aggiunto la dottoressa Mion – di una delle percentuali di mortalità più basse a livello europeo, questo nonostante la percentuale delle risorse destinate alla prevenzione sia una delle più basse e in costante diminuzione. Eppure sono circa il 30% le persone che potrebbero non ammalarsi adottando corretti stili di vita”.
L’importanza delle prevenzione nelle scuole è stata sottolineata dalla ginecologa Francesca Manganelli, dal dermatologo Matteo Bordignon e dalla specializzanda in urologia Lisa Barbieri, che partecipano attivamente come volontari al progetto Martina, andando nelle scuole.
Manganelli ha sottolineato una serie di luoghi comuni, assolutamente da sfatare, e di comportamenti a rischio molto diffusi tra i più giovani, soffermandosi sull’importanza della collaborazione tra scuola, famiglia e istituzioni.
“Se parliamo di adolescenti e infezioni a trasmissione sessuale, c’è ancora tanta disinformazione” ha dichiarato la dottoressa.
Bordignon ha messo l’accento sull’esigenza di aiutare i ragazzi a sviluppare uno spirito critico, soprattutto nell’epoca delle fake news, e sul valore del progetto Martina anche come strumento di monitoraggio:”Bloccare la diffusione delle notizie false aiuterebbe tutti noi ad avere maggiore fiducia nella scienza”.
Lisa Barbieri ha illustrato il metodo originale e scanzonato messo a punto da lei stessa per parlare di tumore ai ragazzi, avvalendosi di immagini e di un messaggio semplice e chiaro, evidenziando l’importanza di parlare in famiglia, tra genitori e figli, senza paura di affrontare il problema.
È importante che i genitori e gli insegnanti collaborino insieme – ha aggiunto Tatiana Ierardi, docente dell’istituto Victory – per aiutare i ragazzi in casa a confidarsi di più. Il progetto Martina dà un contributo molto importante. I medici nel nostro istituto sono stati bombardati di domande”.
La psicologa Chiara Vitalone e la psiconcologa Anna Luisa Mariggiò, che collaborano con l’associazione, sono intervenute sull’impatto che la malattia di un genitore può avere su un ragazzo, al quale l’associazione ha dedicato il progetto Gio.I.A. di Vivere. Giovani in Ascolto. “Quando un cancro entra in una famiglia è di tutti, figli compresi. Cambiano i ritmi, le responsabilità e gli equilibri, e l’adattamento a questi cambiamenti può essere fisiologico o patologico. La comunicazione in famiglia è molto importante”. Spesso però gli adulti si domandano se i figli siano in grado di capire situazioni difficili e tendono a proteggerli. “Tacere è sempre controproducente – ha sottolineato Vitalone – ed è fondamentale ascoltare e capire quanto i giovani vogliano essere coinvolti”. “Una comunicazione mal veicolata può portare nei ragazzi frustrazione, tristezza e rabbia e questa sofferenza può prendere forme diverse”.
Toccante il messaggio dell’attrice Sabrina Paravicini. “Bisogna sempre sentirsi belle e non buttarsi giù – ha detto in un video – Bisogna affrontare questo viaggio con coraggio, con un po’ di pazienza, tanto equilibrio e una visione un po’ lungimirante delle cose. Tutto passa. Anche questo seno che non ho più, sarà ricostruito. E’ importante organizzare dei convegni – ha concluso – perché tante cose non si sanno”.
Sulle nuove strategie di prevenzione si è soffermata la web copywriter Maria Vittoria Milanesi. Le campagne di prevenzione solitamente si rivolgono alla generazione X, quella che va dalla metà degli anni Sessanta alla metà degli Ottanta. Ma attraverso quali strumenti possiamo rivolgerci alle generazioni Y e Z? Ai millennial possono essere indirizzati testi molto brevi, mentre la generazione successiva è ricettiva solo alle immagini. “Testimonial, blogger, youtuber, possono essere efficaci nel comunicare anche un messaggio di prevenzione”.
Il mondo digitale è in continua evoluzione e la comunicazione funziona se è da pari a pari. I giovani sono una comunità – continua Milanesi – tra loro parlano e si capiscono. Nell’ambito della comunicazione quello che conta è la vera storia di vita”. A cimentarsi con i nuovi linguaggi è anche la scienza.
L’Istituto Oncologico Veneto ha promosso un progetto illustrato dal direttore scientifico Giuseppe Opocher, che consiste nella realizzazione di una serie di vignette raccolte in sei libretti, dedicati ad altrettanti temi di ambito oncologico attraverso una serie di metafore, e altri 6 sono già in programmazione
Donatella Barus, della Fondazione Umberto Veronesi, ha illustrato un progetto rivolto ai ragazzi dai 14 ai 19 anni per sensibilizzarli sull’importanza della diagnosi precoce in oncologia. “Abbiamo avviato una campagna web coinvolgendo un influencer come Francesco Facchinetti – ha raccontato – ma ci siamo accorti che non bastava. Siamo andati nelle scuole, per veicolare un messaggio complesso”. Tra le iniziative, il workshop cinematografico #fattivedere, un progetto che nasce da una duplice evidenza: primo, la diagnosi dei pazienti adolescenti arriva in ritardo (dai 40 giorni riscontrati nell’infanzia, ai 140-150 giorni nell’adolescenza), secondo i ragazzi che si ammalano rischiano l’isolamento: i loro coetanei spesso non sanno come rapportarsi alla malattia.
I rischi e le opportunità dell’uso dei social media per indirizzare ai ragazzi un messaggio di prevenzione davvero efficace sono stati illustrati da Andrea Vianello, di Informatici senza Frontiere, che opera per colmare il divario digitale nel mondo, favorendo un processo di crescita. Anche in questo caso – ha detto Vianello – “la comunicazione deve dare valore alle emozioni con foto e filmati, usare parole, semplici e dirette e contenere informazioni aggiornate con regolarità”.