Copertina articolo Le parole della cura – Formazione per giornalisti

“Le parole possono ferire o curare. È responsabilità di ciascuno, sia esso giornalista, divulgatore, medico, paziente, familiare o volontario impegnarsi ad utilizzare sempre più parole che non feriscano”.

Si è conclusa così la mattinata di formazione per giornalisti del 25 settembre scorso sulle “Parole della cura”. La proposta che ha ricevuto l’approvazione e il riconoscimento dell’Ordine dei giornalisti del Veneto e la collaborazione del CSV Padova, è nata da Volontà di Vivere e da Daniela Boresi, giornalista padovana che ha dedicato al tema un bell’articolo nel suo blog (https://timermagazine.press/).

Nel corso della mattinata, di fronte ad un pubblico di circa 50 giornalisti di diverse provenienze, abbiamo cercato di analizzare l’importanza delle parole nel comunicare la malattia oncologica. Abbiamo avuto un punto di vista medico, uno etico e uno psicologico. Vittorina Zagonel, direttrice dell’Oncologia 1 dello IOV, ha esordito sottolineando l’importanza della stampa e della Rete come strumenti di informazione e comunicazione a cui i malati oncologici, e più in generale, i cittadini attingono regolarmente. Soprattutto il web viene utilizzato con sempre maggiore frequenza, ma è necessario diffondere un linguaggio corretto perché non diventi megafono di mistificazioni prive di basi scientifiche. Inoltre, il giornalista medico scientifico e l’oncologo devono trovare un terreno comune in cui confrontarsi in modo che le novità della scienza ed il linguaggio scientifico vengano spiegati in modo corretto. Luca Cancian, radiologo, dopo aver evidenziato come la principale causa degli errori in Sanità sia la cattiva comunicazione, ha portato la sua esperienza di relazione medico-paziente considerando che spesso è proprio il radiologo a dare la prima informazione sulla malattia. Anna Luisa Mariggiò, psiconcologa dell’associazione ha invece portato il focus sull’impatto psicologico delle parole a partire dalla comunicazione medico-paziente.

Partendo dalla visione paternalistica di alcuni decenni fa, che portava ad una forte asimmetria nella relazione, si è arrivati adesso ad un rapporto più paritario. Gli studi più recenti confermano inoltre – ha proseguito Mariggiò – che un’informazione completa ed esauriente sulla malattia e sul suo decorso è prerequisito di una adeguata relazione medico-paziente, facilita il processo di adattamento alla malattia e favorisce l’autodeterminazione della persona. Enrico Furlan, bioeticista ci ha aiutato a portare attenzione all’aspetto etico della comunicazione. Partendo dall’assioma che “etica” è la dimensione in cui abitiamo, ci ha proposto alcune domande provocatorie: come entriamo, attraverso le parole, nella dimora dell’altro?

Bisogna aspettare di essere dall’altra parte per capire? Cosa omettiamo nella comunicazione? Per poi sottolineare l’importanza di comunicare la ricerca, senza dare false speranze. Ha chiuso la mattinata l’intervento di Francesca Traclò, che in qualità di consigliera ha portato l’esperienza di Aimac nell’informazione, sottolineando l’importanza di tradurre le informazioni in linguaggio chiaro per i pazienti e i caregiver. Confidiamo di riuscire a tradurre i moltissimi stimoli emersi dalla mattinata in un “vocabolario” delle nuove parole della cura.

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