Copertina articolo Tumore al seno: diverse tipologie, diverse cure

Il cancro mammario rappresenta la patologia neoplastica più frequente nella donna. Questa malattia è inoltre la prima causa di morte nelle donne prima dei 50 anni, raggiungendo il 29% dei decessi. Tuttavia, c’è un trend in diminuzione della mortalità grazie, non solo alle innovazioni in campo terapeutico, ma anche al miglioramento delle tecniche diagnostiche. Il Veneto è considerato una delle regioni in Europea con la sopravvivenza più alta a 5 anni dalla diagnosi: oltre l’80%.
Conoscere i fattori di rischio implicati nella malattia neoplastica è importante non solo per avere una minore probabilità di ammalarsi, ma anche per migliorare l’esito delle cure attraverso uno stile di vita adeguato.
I fattori di rischio possiamo dividerli in due grandi categorie: Genetici, cioè già presenti nel nostro DNA e immodificabili, e Ambientali, quindi potenzialmente modificabili. Entrambi i fattori possono interagire tra loro e favorire lo sviluppo della malattia. Ricordiamo però che il cancro è una malattia a patogenesi multifattoriale e ancora oggi non sono noti tutti i fattori che predispongono all’insorgenza di questa malattia.
Ma quali sono le categorie di donne sulle quali dobbiamo concentrarci maggiormente?

  • Con l’età aumenta il rischio di ammalarsi (esami strumentali preventivi dai 40/50 anni).
  • Coloro che vivono nei paesi industrializzati sono più a rischio per l’inquinamento e lo stile di vita.
  • Chi ha un menarca precoce o una menopausa tardiva è più a rischio perché ha una vita fertile più lunga e quindi una fluttuazione ormonale più lunga nel tempo.
  • Quando si ha un primo figlio tardi c’è meno protezione rispetto ad una gravidanza in giovane età.
  • Donne con familiarità sospetta per tumore alla mammella.
  • Donne che hanno avuto un pregresso tumore della mammella sono più a rischio.
  • Infine, il ruolo di: dieta, controllo del peso corporeo, esposizione a radiazioni, assunzione di farmaci ad attività endocrina, fumo, alcol, vita sedentaria.

È evidente che agire con la prevenzione e adottare stili di vita sani è un passo importante per il nostro benessere, sia prima, che durante e anche dopo la malattia. Tra i fattori di rischio che non possiamo controllare ci sono la razza, il sesso, l’età, le alterazioni genetiche. A questo riguardo è importante distinguere tra tumore della mammella ereditario e familiare. Infatti, mentre il tumore mammario familiare è indice di frequenti casi nella famiglia senza una riscontrata mutazione di geni specifici (forse perché ancora non identificati), quello ereditario, al contrario, evidenzia la presenza di mutazioni genetiche a carico del DNA (ad esempio geni BRCA). Una donna con mutazione del BRCA viene sottoposta ad un protocollo di sorveglianza intensivo e sostanzialmente diverso rispetto a una donna che non presenta questa alterazione. Le neoplasie mammarie con mutazione di BRCA sono circa il 5-7% del totale dei tumori mammari.

Dopo la diagnosi

Il tumore alla mammella è una malattia che si presenta in moltissime forme differenti, ognuna delle quali con caratteristiche peculiari, per cui è fondamentale fare una diagnosi più precisa possibile per procedere alla migliore strategia terapeutica. A seguito di una biopsia di un nodulo tumorale o di un intervento chirurgico di asportazione della malattia neoplastica si procede con l’analisi istologica del materiale che viene effettuata dall’anatomopatologo, il quale ci dà quello che noi chiamiamo l’istotipo, una sorta di “carta d’identità” delle cellule tumorali.
Il tumore della mammella si classifica sulla base della presenza o assenza di alcune proteine, o in base alla presenza o assenza di alcuni geni amplificati.
In sostanza all’interno di un referto istologico relativo ad un tumore della mammella le informazioni necessarie per la caratterizzazione della malattia sono:

  • tipo istologico (per esempio duttale, lobulare, papillare, apocrino e molti altri);
  • assenza o presenza del recettore per estrogeni e progesterone;
  • calcolo della capacità di proliferare delle cellule tumorali (Ki-67 o MIB-1);
  • assenza o presenza della proteina HER2 e/ o del gene che la codifica.

Conoscendo queste caratteristiche noi oncologi possiamo pianificare la strategia terapeutica più appropriata.

Come si studia il tumore mammario?

In base alla classificazione TNM si calcolano tre parametri:

  • Le dimensioni del tumore (T)
  • Il numero di linfonodi positivi e la loro posizione anatomica (N)
  • La presenza di metastasi (M)
  • La combinazione di tali caratteristiche determina lo stadio di malattia (stadio I= più precoce, stadio IV più avanzato)

Sommando quindi tutte le informazioni: lo stadio della malattia (da I a IV), il tipo istologico, i fattori istoprognostici (recettori, indice proliferativo, proteina HER2), l’età della paziente (maggiore o minore di 35 anni), lo stato menopausale (donna in pre o post menopausa), le malattie concomitanti e soprattutto in accordo con i desideri della paziente stessa, si decide la strategia terapeutica.
In linea generale le terapie per il tumore alla mammella sono: la chirurgia, la radioterapia e la terapia
medica, che a sua volta si divide in ormonoterapia, in chemioterapia e terapia biologica. Tuttavia, per curare al meglio una donna con tumore alla mammella, i vari medici specialisti coinvolti non agiscono individualmente ma in sinergia. Il migliore trattamento oncologico viene garantito proprio da un approccio multidisciplinare alla patologia.
La terapia medica, ovvero oncologica, si suddivide in tre grandi categorie:

  1. Neoadiuvante: consiste nel trattamento prima dell’intervento chirurgico. È previsto nel caso in cui un tumore sia troppo grande per essere operato in maniera radicale o perché ha delle caratteristiche biologiche di aggressività per cui la terapia medica potrebbe, agendo fin da subito, limitarne la tendenza a metastatizzare. Viene utilizzato tale approccio anche per consentire un intervento non demolitivo (e quindi conservativo) in caso di risposta alle cure.
  2. Adiuvante: trattamento dopo l’intervento chirurgico per ridurre al massimo il rischio che la malattia si possa ripresentare, eliminando le cosiddette “micrometastasi”.
  3. Terapeutica: nei casi in cui la malattia è presente in sedi diverse dal tumore primitivo.

Nella terapia medica quante armi abbiamo?

  1. Chemioterapia: ad oggi, nell’ambito del tumore mammario, non prevede solo l’infusione tramite la flebo. Esistono, infatti, dei farmaci innovativi che possono essere assunti per via orale.
  2. Terapia endocrina: utilizza vari tipi di approcci a seconda dell’età della persona trattata, dello stato menopausale, dello stadio di malattia
  3. Terapia target: farmaci (sia orali che endovenosi) in grado di bloccare dei meccanismi specifici presenti nella cellula tumorale, risparmiando quindi le cellule normali. Comprendere in che modo la cellula tumorale riesce a sopravvivere nel corpo e crescere, ci ha permesso non solo di ampliare le possibilità terapeutiche ma anche di ridurre gli effetti collaterali agendo in modo selettivo sulle cellule cancerose.

Tra tutti questi farmaci mirati che vengono utilizzati in forme particolari di tumore della mammella, ne cito uno degli ultimi arrivati: OLAPARIB: un’arma molto importante nella malattia con mutazione di BRCA.

Perché ci ammaliamo?

Tutti noi vorremmo capire perché ci si ammala di tumore. Si chiama patogenesi multifattoriale quella serie di eventi sfavorevoli che devono accadere affinché una cellula alterata sfugga ai controlli del nostro sistema immunitario (preposto per proteggerci) e riesca a crescere fino a causare una neoplasia. Oltre, infatti, alle cause organiche che predispongono ad ammalarsi, il nostro corpo può avere delle alterazioni nei propri meccanismi di difesa (ad esempio le cellule Natural Killer, ossia quelle cellule del sistema immunitario che tengono a bada le cellule “estranee”, se non funzionano correttamente, possiamo essere più esposti alle malattie). Gli eventi personali negativi nella vita di ogni persona possono influire proprio sul mal funzionamento delle difese immunitarie e renderci più vulnerabili alle malattie, anche alla malattia tumorale.

Detto ciò, va considerato che il paziente oncologico è una persona sofferente, fragile, che ha perso il suo equilibrio e proprio per questo motivo l’approccio del medico dovrebbe essere un approccio alla persona (e non solamente alla malattia) affinché il percorso di cura il più adeguato possibile. Partendo dalle parole di Umberto Galimberti possiamo affermare che esiste uno scarto tra i consigli e le cure dei medici e i comportamenti dei pazienti che talvolta disattendono quei consigli e quelle stesse cure. Non si può parlare di cattivo paziente che non ascolta, ma di un medico che tratta il paziente esclusivamente come un organismo, senza considerare quel lato umano fatto di emozioni nella sua interezza.
Io come medico devo curare certamente la malattia, ma soprattutto la persona che ho davanti, perché la stessa patologia in due persone diverse viene vissuta in maniera differente e con esigenze altrettanto differenti.

Per aumentare il benessere di un paziente dobbiamo:

  • aumentarne la quantità di vita, e la qualità della vita, agendo con tutte le terapie già elencate,
  • ritardare la possibilità che la malattia possa proseguire,
  • trattare i sintomi migliorandoli,
  • fare un bilancio tra quelli che sono i rischi e i benefici delle nostre terapie.

È fondamentale discuterne con le persone che abbiamo di fronte e soprattutto capire che è la qualità della vita che forse importa di più a quel paziente, perché non siamo noi a decidere per loro, ma dobbiamo decidere ascoltando loro. In altre parole, noi oncologi dovemmo avere una visione d’insieme attraverso l’accettazione, l’ascolto, la condivisione e l’empatia.
Una medicina innovativa punta ad integrare la parte tecnica e scientifica con il vissuto del paziente. Ma per arrivare a questo c’è bisogno di formazione fin dall’Università per gli oncologi ma anche per tutti gli operatori del settore sanitario.

Il singolo può fare molto, ma è la cultura che si deve diffondere partendo dalle scuole.

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