Copertina articolo Tumori e ginecologia

Nell’ambito della ginecologia oncologica la predisposizione genetica ha grande rilevanza. In generale i tumori ereditari femminili (di cui si eredita la predisposizione) sono sporadici, per esempio rappresentano il 15-20% dei tumori ovarici ed il 5-10% dei tumori alla mammella. Va ricordato, però, che la predisposizione genetica non aumenta solo il rischio di ammalarsi di tumore maligno, ma ne determina anche una insorgenza più precoce. Infatti circa il 25-40% dei tumori mammari che insorgono prima dei 35 anni ha alla base una predisposizione genetica. Questo significa che più si abbassa l’età in cui ci si ammala, più alta è la probabilità di essere portatrice di una mutazione predisponente la malattia.
Avere una predisposizione genetica a sviluppare una malattia neoplastica non determina con certezza l’insorgenza della malattia, ma quello che viene ereditato è un’aumentata suscettibilità allo sviluppo del tumore. L’incidenza del carcinoma ovarico nella popolazione generale è di 1.5 – 2%, ma le donne affette dalla sindrome del carcinoma ereditario della mammella e dell’ovaio hanno una incidenza molto più elevata. In particolare, le pazienti che ereditano la mutazione a carico del gene BRCA 1 hanno il 65 % di rischio cumulativo di sviluppare un tumore della mammella entro i 70 anni, e il 39-46 % di probabilità di sviluppare un tumore dell’ovaio; le pazienti che invece ereditano una mutazione a carico del gene BRCA 2 hanno il 60% di rischio cumulativo di sviluppare un tumore della mammella e il 10-27% di probabilità per il tumore dell’ovaio. La mutazione predispone, inoltre, ad uno sviluppo precoce della malattia. La precocità d’insorgenza, oltre che il rischio, è più marcata nelle pazienti BRCA 1 mutate rispetto alle BRCA 2.
In ambito senologico la prevenzione ha avuto grandi risultati, sia grazie agli esami clinico-strumentali (esame senologico, mammografia, ecografia mammaria, risonanza magnetica, agobiopsia) sia grazie all’autopalpazione. Questi strumenti permettono di individuare nodularità mammarie che possono essere poi indagate più approfonditamente se ritenute sospette e possono portare all’individuazione di lesioni neoplastiche in stadi molto precoci. In ambito ginecologico invece, quello che abbiamo a disposizione per studiare le ovaie sono l’ecografia transvaginale e il dosaggio ematico del marcatore CA 125. Purtroppo però, la posizione intra addominale dell’ovaio rende queste procedure poco efficaci nella precoce identificazione delle lesioni invasive e quindi nella riduzione di morbilità e mortalità per carcinoma ovarico. La difficoltà di diagnosticare il tumore ovarico precocemente è dovuta anche alle caratteristiche intrinseche del tumore. Infatti questo tende a diffondere piuttosto velocemente all’interno dell’addome, così che il 75-80% dei carcinomi ovarici vengono diagnosticati in stadio avanzato e la sopravvivenza a 5 anni si aggira attorno al 50%. Le linee guida internazionali suggeriscono, nelle pazienti BRCA mutate, la sorveglianza semestrale mediante dosaggio del marcatore CA 125 e l’esecuzione di un’ecografia transvaginale. La sorveglianza è consigliata a partire dai 30 anni di età o dal momento del riscontro di mutazioni a carico di BRCA. Tuttavia, come già esposto in precedenza, tale condotta non è in grado di ridurre significativamente il tasso di mortalità per carcinoma ovarico. L’unica strategia che si è rivelata in grado di ridurre drasticamente il rischio di sviluppare una neoplasia ovarica, tubarica o peritoneale è l’asportazione chirurgica profilattica di tali organi.
Nelle mutazioni a carico di BRCA 1 l’intervento è consigliato a partire dai 35-40 anni e nelle mutazioni BRCA 2 a partire dai 40-45 anni, in ogni caso prima dell’insorgenza della menopausa fisiologica. Tuttavia questo intervento comporta la menopausa chirurgica e la sterilità; pertanto, il timing dell’intervento va valutato attentamente tenendo conto dell’età, del desiderio di preservare la fertilità e degli svantaggi derivati da una menopausa precoce.

Il Carcinoma della cervice uterina è correlato all’infezione da Papillomavirus (HPV), un virus estremamente frequente nella popolazione sessualmente attiva. Visto che i fattori di rischio sono conosciuti, è possibile attuare una prevenzione primaria attraverso la divulgazione di norme comportamentali atte a ridurre comportamenti a rischio, quali il fumo, la precocità del primo rapporto sessuale, multipli partner sessuali, partner sessuali occasionali e la pratica di sesso non protetto. Il virus, infatti, non colpisce esclusivamente la donna ma anche l’uomo, che può essere ospite e vettore. La vaccinazione contro l’HPV è estremamente importante. In Veneto è raccomandata e gratuita per tutte le ragazze e i ragazzi di giovane età (12 anni), così da essere protetti dal virus prima di venirne a contatto. Nella Regione Veneto è possibile vaccinarsi gratuitamente fino al compimento dei 25 anni di età, perciò i ragazzi che non sono rientrati nel programma vaccinale possono sottoporsi al vaccino gratuitamente presso il proprio distretto. Inoltre, la comunità scientifica internazionale ritiene che, fino ai 40-45 anni, la vaccinazione può avere una sua utilità, anche se c’è già stato il contatto con il virus. Si tratta di un vaccino permanente e non è necessario alcun richiamo.
L’infezione da HPV nella stragrande maggioranza dei casi viene autorisolta dall’organismo, per cui la positività a questo virus non deve provocare eccessive preoccupazioni. Vi sono però alcuni sierotipi definiti ad alto rischio che, se determinano una infezione persistente, possono portare alla formazione di lesioni preneoplastiche (displasia) fino ad arrivare al carcinoma. I tipi ad alto rischio i più frequenti sono l’HPV 16 ed il 18. Cardine della prevenzione secondaria è l’individuazione dell’infezione da HPV, mediante l’HPV test e la sua tipizzazione, l’individuazione di lesioni preneoplastiche mediante l’esecuzione del Pap test e, nel caso di positività del Pap test stesso, l’esecuzione della colposcopia che permette la biopsia mirata delle lesioni sospette.

Il Carcinoma endometriale, infine, è il più frequente della sfera ginecologica, con un’età media di insorgenza di 60-65 anni. I fattori di rischio vengono definiti con la triade obesità, diabete ed ipertensione. Questi, insieme ad uno sbilanciamento ormonale in senso estrogenico, aumentano il rischio di sviluppo di questa patologia, che con un buon stile di vita potrebbe essere abbattuta di circa il 30%. La sindrome di Lynch è una malattia ereditaria che predispone ad un rischio di sviluppare un carcinoma colorettale (nel 70-80% dei mutati) e un tumore dell’endometrio (fino al 50% dei casi). Il Tamoxifene aumenta di circa due volte il rischio di patologia endometriale. Per questo motivo nelle donne che utilizzano questo farmaco come terapia ormonale per la mammella, si consiglia un controllo ecografico annuale per valutazione dello spessore endometriale fino alla fine del trattamento; dopo un anno dal termine della terapia il rischio torna ad essere quello della popolazione generale. Il carcinoma endometriale frequentemente è caratterizzato da insorgenza di sanguinamento uterino anomalo in menopausa. Questa sintomatologia non deve però spaventare eccessivamente, dato che le maggiori cause di sanguinamento in menopausa sono l’atrofia endometriale e la presenza di un polipo endometriale. È bene comunque accertare in ogni caso la causa del sanguinamento attraverso un esame strumentale ambulatoriale chiamato isteroscopia. Con una telecamera molto sottile questa permette di ispezionare in visione diretta la cavità uterina, e permette di eseguire eventualmente una biopsia di lesioni sospette. Il carcinoma endometriale è molto spesso una patologia con una buona sopravvivenza. Infatti, la chirurgia con l’asportazione dell’utero, gli annessi e i linfonodi pelvici riesce ad eradicare la malattia con un buon tasso di successo.
La diagnosi di malattia tumorale, al giorno d’oggi, non deve significare perdita della femminilità o della possibilità di uno stile di vita considerato normale. La qualità della vita è un aspetto sempre più importante in oncologia, e la funzione sessuale e riproduttiva sono parte importante della qualità di vita di una donna. Molti passi avanti sono stati fatti negli ultimi anni in direzione del miglioramento della qualità di vita nella donna oncologica: se fino a qualche tempo fa programmare una gravidanza in una giovane donna trattata per tumore mammario era un tema difficile e spesso sconsigliato, oggi, invece, sappiamo che la gravidanza non solo è possibile, ma può, addirittura, aver effetto benefico sulla salute della donna.

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